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Cittadinanza onoraria al presidente del Bologna Joey Saputo

Redazione 3 mesi ago 4

Ieri pomeriggio, nella Sala del Consiglio comunale a Palazzo d’Accursio, la cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria al presidente del Bologna Football Club 1909 Joey Saputo.

L’intervento del sindaco Matteo Lepore

“Grazie, Presidente. Benvenute a tutte le autorità militari e civili che sono qui presenti, in particolare a tutta la famiglia Saputo, alla signora Carmie, a Joey, al figlio Luca, a tutta la società del Bologna Football Club, dalla dirigenza a tutti i collaboratori, ai giocatori, al mio collega De Silvestri, a tutte le persone che militano in questa società così per noi blasonata e importante.

Non posso non partire ringraziando le consigliere e i consiglieri che all’unanimità hanno voluto esprimere il loro favore per l’approvazione di questa importante iniziativa: la cittadinanza onoraria a Joey Saputo. Riconoscimento per il suo essere pienamente parte della nostra comunità. Come abbiamo sentito dalle motivazioni che ha letto la Presidente, un imprenditore di valore, un amico, un cittadino bolognese a pieno titolo. Noi insieme abbiamo scelto come città di Bologna di allargare le nostre braccia e dare il benvenuto a Joey e alla sua famiglia, e siamo contenti di questo. Siamo contenti di questo per il percorso che abbiamo fatto assieme negli anni che abbiamo alle spalle e per quelli che avremo di fronte, e credo che Joey possa essere un esempio per le nuove generazioni. Voglio in particolare utilizzare i miei pochi minuti da primo cittadino per illustrare le motivazioni che mi hanno spinto a proporre questa cittadinanza, perché oggi poi è la giornata di Joey e sarà lui, nel suo intervento, a raccontarci quelle che sono le sue emozioni, le sue riflessioni.

Poi insieme andremo anche a firmare il Libro d’onore, che prima sommariamente ho avuto il piacere di descrivere a lui e alla sua famiglia. È un libro firmato da persone importanti. Però le persone importanti sono un esempio. Tutte le persone che hanno l’occasione di rappresentare le istituzioni, di vestire una maglia come quella del Bologna, che è un’istituzione per la nostra città, sono un esempio per gli altri cittadini. Mai come oggi abbiamo bisogno di esempi, ma come oggi abbiamo bisogno di dare l’esempio ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze, di saperli coinvolgere nella nostra comunità. Per noi, come Amministrazione comunale, il Bologna Calcio è innanzitutto questo. Prima ancora dei grandi successi, importantissimi ovviamente, delle Champions League, per noi la maglia rossoblù è innanzitutto sempre stata il grande legame che tiene assieme i padri con i figli, le madri con le figlie, perché oggi sono tante le ragazze che iniziano a giocare a calcio e, anzi, hanno risultati importanti. E grazie anche a questo – devo dirlo – la società ha saputo dimostrare come il calcio femminile è cresciuto e può crescere ancora. Ma perché soprattutto il calcio oggi, nella nostra città, rappresenta dei valori. E questo non è affatto da dare per scontato nel nostro Paese. Lo abbiamo visto in piazza. L’abbiamo visto non solo in piazza, l’abbiamo visto in tutte le strade prima per arrivare alla piazza, a partire dallo stadio: tutti siamo rimasti straordinariamente sorpresi, in positivo, da quanto il popolo bolognese abbia voluto condividere con gioia il risultato dell’arrivare in Champions League. Certo, tutti siamo andati in Europa e tutti siamo in Europa con voi, ma quella sera abbiamo visto davvero tante lacrime di gioia e probabilmente quella serata, più ancora di tutta la stagione, rimarrà impressa a tanti bambini e bambine che hanno avuto l’occasione di vedere quelle immagini. I tanti genitori che potranno raccontare per anni quelle immagini e raccontare cosa significa per noi il calcio, cosa significa per noi quella maglia. E quella maglia in questi anni è stata frutto di tanta sofferenza e tanta passione. Sofferenza dei tifosi, delle tifoserie.

Ma oggi ci dedichiamo in particolare al presidente, e noi che veniamo da lontano, perché la storia di questa società la conosciamo bene, abbiamo potuto apprezzare, da parte sua e di tutto lo staff di cui si è circondato, una grande professionalità. Io l’ho sempre detto in tutti gli interventi che ho fatto, ho sempre molto apprezzato la scelta di investire sulla nostra città, mettendoci competenze e facendo le cose per bene. Se si è arrivati, dopo dieci anni, a dei risultati, coinvolgendo giovani e facendo scommesse importanti, è perché si è usato un metodo. Quando gli abbiamo consegnato il Nettuno, ho detto: “O sei un profeta o sei un grande imprenditore”, dopo dieci anni, arrivare all’obiettivo che si era detto. Credo che dietro ci sia stato un metodo importante, e questo è già un esempio. Per raggiungere grandi risultati non solo bisogna soffrire – certo, la sofferenza è sempre un po’ dentro tutte le grandi storie –, ma bisogna soprattutto lavorare, organizzare, costruire una squadra, saperla guidare e sapere svolgere il proprio ruolo a pieno.
Questo significa dare l’esempio alle nuove generazioni, a tutti noi, anche a noi che siamo nelle istituzioni, che dobbiamo svolgere un ruolo. E questo è un primo grande valore.

Il secondo valore, per me, importante della cittadinanza bolognese è la parola “libertà”. Noi l’abbiamo nel nostro gonfalone. Qui alle spalle, Joey, puoi vedere in latino “libertas” è la parola che è scritta nel gonfalone del Comune di Bologna. Bologna nel 1257 è stata la prima città nel mondo a liberare seimila schiavi. Lo ha fatto con un accordo tra il podestà di allora e gli imprenditori della città, i cosiddetti signori. Erano meno imprenditori, erano un po’ più dei nobili, quindi avevano forse meno meriti degli imprenditori, ma allora avevano le terre e utilizzavano gli schiavi per coltivarle. Allora ci fu un accordo per fare nascere seimila nuovi cittadini.
Fu un accordo. E da allora i cittadini bolognesi hanno l’orgoglio di poter dire che Bologna è una città che rende liberi. Io penso che il calcio, lo sport, vissuto in un certo modo attraverso quello che facciamo nelle scuole e nei nostri impianti sportivi, può rendere liberi i cittadini di oggi e di domani. Questa speranza io spero davvero sia racchiusa anche in questa cittadinanza, perché tutti insieme abbiamo una grande responsabilità: quella dell’esempio – lo dicevo – ma anche quella di generare speranza.

E allora oggi a un grande cittadino bolognese conferiamo questo riconoscimento onorario per quello che ha saputo dimostrarci, con grande amore e grande attaccamento, nonostante il suo stile sempre molto umile e riservato, ma voglio dire che questo amore ha generato qualche cosa, ha generato qualcosa che è già per noi molto importante, ed è nelle relazioni della città, nelle migliaia di persone che partecipano alla vita dello stadio in modo diverso. E dunque il patrimonio che esce da questa giornata è un patrimonio che noi per primi vogliamo sapere promuovere e conservare. Un patrimonio di valori, di idee, di relazioni, di amicizia, che a partire dal suo presidente a tutta la squadra e alle persone che verranno e giocheranno negli anni, vogliamo continuare a preservare.
In fondo, un grande presidente prima di te, che era il presidente Dall’Ara, che è l’unico che cito, perché potrei citare tutti gli altri, ma citiamo il più importante, usava dire di essere un piccolo imprenditore di provincia che aveva l’hobby del calcio. Tu non sei di sicuro un piccolo imprenditore di provincia, però hai questo grande hobby del calcio che ti accomuna sicuramente al più grande presidente che abbiamo avuto, e che ci ha dato grandi soddisfazioni. Dunque, come per lui, ti vogliamo dire: benvenuto a Bologna, Joey. Sei un nostro concittadino per quanto ci riguarda, già dal primo giorno, perché per noi i bolognesi sono tutti bolognesi dal primo giorno, ma oggi anche ufficialmente. Benvenuto”.

L’intervento di Saputo

“Signor Sindaco, signora Presidente del Consiglio, tutti i Consiglieri e cittadini bolognesi, amici e cari invitati, buonasera. Sono orgoglioso ed emozionato di essere qui stasera davanti a voi, alla mia famiglia e ai rappresentanti del Bologna FC, per ricevere la cittadinanza onoraria di questa città. Da qualche giorno, pensando alle parole da dire in questo momento, mi viene in mente la prima volta a Bologna, che non fu nel 2014, quando entrai nel club, ma un paio di anni prima, nel febbraio 2012, quando portammo a giocare a Montreal Marco Di Vaio. Mi ricordo quel giorno, quando sono arrivato a Bologna in treno, e trovai la città sotto la neve, pensando che Bologna non era poi così diversa dal Canada. Ecco, oggi mi piace immaginare che è stato un piccolo segno del destino. Per dieci anni ormai Bologna è il mio presente. Come sapete, qualche anno fa ho preso casa in città e negli ultimi tempi vivo più qui che a Montreal. Qui vivono i miei figli Luca, che lavora nel club, e Jesse che gioca nel settore giovanile, e per me è una grande emozione vederli oggi insieme a mia moglie Carmie. Dieci anni. Credo che questo importante onore che mi viene conferito oggi possa essere l’occasione migliore per fare un piccolo bilancio. Sono stati dieci anni bellissimi, indimenticabili. Ci sono stati anche momenti difficili, quando i risultati sportivi non sono stati all’altezza dell’aspettativa della piazza. Ma, quando ho deciso di acquistare la maggioranza del club, mi sono detto che era mia intenzione costruire dal basso, un po’ come fanno gli allenatori di oggi. Nella mia ottica la squadra e i risultati sul campo sono i frutti di un albero che deve avere radici profondi e un tronco robusto, e su questo abbiamo lavorato per anni. La riorganizzazione e lo sviluppo di tutta l’area del club, l’acquisizione e la ristrutturazione del nostro centro tecnico, i piccoli interventi allo stadio sono stati la base del nostro lavoro. In questo senso lasciatemi ringraziare il nostro amministratore delegato, Claudio Fenucci, che è stato al mio fianco dall’inizio. La crescita sportiva, che ha portato a qualificarsi per la Champions League dopo sessant’anni, è stata il coronamento di questo impegno e del lavoro, oltre che dei tecnici e dei giocatori, anche quello di Giovanni Sartori e Marco Di Vaio. Ma il calcio, soprattutto in una città come Bologna, va molto oltre tutto questo. Lo dimostrò la reazione della nostra gente alla tragedia di Sinisa Mihajlovic, che a Bologna ha trovato nella città una seconda famiglia. Non solo, quando incontro tifosi che, commossi, mi dicono “mio padre, mio nonno sarebbero stato felici”, io capisco che cos’è davvero il Bologna Football Club: una comunità di persone che condividono gli stessi ricordi e le stesse emozioni. Per questo ritengo che il nostro dovere di custodi di questa passione curerà sempre più il rapporto tra squadra e città, tra il club e il territorio che rappresenta, lasciando tutti le iniziative che possono mettere la visibilità del calcio a servizio del tessuto sociale cittadino. Il bilancio, insomma, è più che positivo e non solo dal punto di vista sportivo e imprenditoriale. Sullo sfondo di questa emozione e avventura sta una città, una bellezza raccolta e sorprendente che incanta a ogni angolo chi come me, nonostante le radici italiane, ha sempre vissuto in un altro continente. Unicità accogliente per cultura, posizione geografica, per storia, per il carattere di voi… anzi, di noi bolognesi. Bologna, con i suoi mille anni di tradizione e università, è sempre stata aperta al mondo e chi viene da fuori non può non sentirsi abbracciato e protetto. A Bologna – cantava Lucio Dalla – non si perde neanche un bambino. Cari concittadini, voglio ringraziare ancora una volta per avermi accolto tra voi fin dal primo momento con affetto, un affetto che io e la mia famiglia ricambiamo con tutto il cuore. Questo riconoscimento è un onore di cui sarò sempre fiero, anche perché arriva prima del passaporto italiano, che farà di me anche un vostro connazionale. In conclusione, vorrei rivolgere un pensierino al grande presidente Renato Dall’Ara. Alla mezzanotte del 3 ottobre, quando il Bologna compirà 115 anni, saremo ad Anfield, uno dei più famosi stadi di calcio mondiali, dove avremo da poco affrontato il Liverpool in Champions: credo che Dall’Ara ne sarebbe orgoglioso, come tutti noi bolognesi. Grazie”.

 

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